Infezioni vaginali più probabili se c’è poca vitamina D
Supplementi e integratori non sembrano però in grado di prevenire le recidive. Serve quindi una buona esposizione solare e consumo di cibi che ne siano ricchi.
Le infezioni vaginali sono un problema molto comune in età fertile: stando ad alcune stime, arrivano a riguardare fino a una donna su tre. Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Nutrition, una carenza di vitamina D è fra i fattori che potrebbero facilitare la comparsa di vaginiti; tuttavia, come è emerso da un’altra indagine statunitense, supplementi e integratori non sembrano in grado di prevenire le recidive. Serve insomma averne a sufficienza grazie a una buona esposizione solare e al consumo di cibi che ne sono ricchi, oltre che non trascurare i sintomi per poter intervenire tempestivamente.
Carenza di vitamina D
La prima ricerca, di un gruppo di ginecologi dell’università di Pittsburgh, è stata condotta su circa 500 donne in gravidanza valutando i livelli di vitamina D in relazione alla presenza di una vaginosi batterica, una delle infezioni vaginali più comuni. I dati indicano che ben il 93 per cento delle donne con vaginiti aveva anche un deficit più o meno accentuato di vitamina D: al ridursi dei livelli della vitamina, peraltro, cresceva la probabilità di infezione. Anche a seguito di questi risultati, un gruppo di ricercatori del Wexner Medical Center della Ohio State University ha indagato che cosa accade integrando la vitamina in poco più di cento donne con vaginosi, nella speranza di ridurre il rischio di recidive. I dati, pubblicati sull’American Journal of Obstetrics and Gynecology, mostrano però che nonostante i supplementi di vitamina D ad alte dosi la probabilità di un secondo episodio di vaginite nei sei mesi successivi non cambia: come spesso accade, contano probabilmente di più i livelli di vitamina raggiunti attraverso una buona esposizione al sole e un consumo adeguato di cibi che la contengono come i pesci grassi (per esempio salmone o sgombro), latte e latticini, uova.
L’importanza dei sintomi
Più ancora serve non trascurare i sintomi di un’infezione vaginale, per poter intervenire efficacemente e con tempestività. «Le perdite biancastre, la cosiddetta leucorrea, sono un’indice abbastanza specifico di infezione anche se talvolta si possono avere pure in condizioni fisiologiche - spiega Francesco De Seta della Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Ospedale materno-infantile Burlo Garofolo di Trieste -. Prurito e irritazione sono altri sintomi da non sottovalutare e il primo passo utile per capire se si è davvero in presenza di un’infezione sarebbe la misurazione del pH vaginale, con una cartina tornasole o con appositi presidi medici che in altri Paesi sono disponibili anche per l’auto-misurazione. Un pH alto, infatti, è in genere indicativo di un’infezione batterica mentre se resta acido potrebbe trattarsi di una candidosi; il test del pH è perciò importante ed è uno dei primi che il ginecologo esegue per indirizzare la diagnosi. Andare dal medico in caso di sintomi che fanno supporre un’infezione vaginale è infatti opportuno, per riconoscere il problema e poterlo trattare in maniera adeguata; se per un qualsiasi motivo non si può accedere a una visita in tempi rapidi, occorre scegliere un prodotto per automedicazione il più aspecifico possibile, che sia solo sintomatico. Senza una diagnosi precisa va evitato il fai da te con antibiotici o antifungini: la terapia giusta va prescritta dal ginecologo dopo aver riconosciuto la causa dell’infezione».