La dipendenza da droga è innescata dalla molecola delle «forti passioni».
Il processo è molto simile al meccanismo molecolare che rafforza le connessioni sinaptiche tra i neuroni durante la formazione di ricordi e apprendimento. Le sostanze scatenano il rilascio di dopamina nelle aree del cervello che regolano il piacere.
C’è un filo comune che unisce la neurobiologia della dipendenza da droghe a quella che sottostà ad altre “passioni irrefrenabili”, come il gioco d’azzardo o la compulsione all’uso di videogiochi. È un’alterazione del processo decisionale e dell’equilibrio emotivo comune a tutte le dipendenze comportamentali, tra le quali alcuni studiosi fanno rientrare anche l’obesità. Questa alterazione è sostenuta dall’aumento del rilascio di dopamina nelle aree cerebrali (come il nucleo accumbens e lo striato dorsale) più coinvolte nelle sensazioni di ricompensa e di piacere, stimolate dalle prime esperienze che si fanno con l’assunzione di droghe o con l’esposizione ad altri comportamenti capaci di generare dipendenza. L’aumento del rilascio di dopamina, uno dei più importanti neuromediatori cerebrali (le sostanze che permettono ai neuroni di comunicare tra loro a grandissima velocità nei punti di contatto, le sinapsi), viene rapidamente associato a quel tipo di esperienza e ancora di più agli stimoli ambientali che precedono l’esposizione all’esperienza, ad esempio l’assunzione di droga.
Il ruolo della dopamina
Quando il comportamento si ripete, dunque, si ha un aumento piacevole di dopamina, soprattutto come risposta anticipatoria, che predice l’arrivo dell’esperienza desiderata. «Questo processo è molto simile al meccanismo molecolare che rafforza le connessioni sinaptiche durante l’apprendimento e la formazione di ricordi» dicono alcuni ricercatori guidati da Nora Volkow del National Institute on Drug Abuse (Nida) statunitense in un articolo di revisione pubblicato sul New England Journal of Medicine. «In tal modo, gli stimoli ambientali ripetutamente associati all’uso della droga - compresi il luogo nel quale la droga viene assunta, le persone con cui viene assunta e lo stato mentale che si ha prima di assumere la droga - possono tutti stimolare rapide impennate di rilascio di dopamina che fanno schizzare in alto il desiderio per la droga, motivando comportamenti finalizzati alla sua ricerca». Il meccanismo è potente e può restare attivo anche dopo molto tempo che si è rimasti lontano dalla droga, ed è così che si spiega almeno il versante biologico delle ricadute. A peggiorare le cose, succede che questo condizionamento del sistema della dopamina fa sì che le normali esperienze piacevoli della vita perdano potere motivazionale.
Il venir meno degli interessi
«In una persona con dipendenza, il sistema motivazionale e di ricompensa si ri-orienta attraverso il condizionamento per focalizzarsi esclusivamente sul più potente rilascio di dopamina prodotto dalla droga e dai segnali che ne anticipano l’uso» dicono ancora Volkow e i suoi collaboratori. È così che si manifesta quel fenomeno tristemente noto ai familiari di una persona con dipendenza: il restringersi del suo orizzonte di interessi. La ricerca recente ha anche capovolto l’ipotesi che l’esposizione ripetuta alla droga aumenti progressivamente la quantità relativa di dopamina rilasciata nel cervello. Accade proprio il contrario: ogni volta che ci si espone a un comportamento capace di indurre dipendenza, il rilascio di dopamina è un po’ più ridotto, e quindi minore sarà il piacere provato. Ma dato che il sistema neurobiologico è il medesimo anche per le esperienze piacevoli della vita normale, la persona che soffre di dipendenza non riesce più a provare piacere in situazioni che era in grado di apprezzare. Se riesce ad allontanarsi dal comportamento di dipendenza, ci vorrà del tempo prima che il sistema dopaminergico torni a funzionare normalmente.
di Danilo di Diodoro