Il tumore corre. E la sanità va a sbattere
La pagella del Lazio: solo un «3» in prevenzione Undici mesi per una tac. Dodici per una risonanza.
Non possono permettersi di aspettare neanche un giorno in più. Invece il tumore corre. E i preziosi macchinari che li curano vanno a passo di lumaca: senza medici specializzati, radiologi e fisici, ogni giorno funzionano meno di quanto potrebbero. Anche così si allungano le liste di attesa per i malati oncologici. Ma anche per chi, suonata l’allerta, deve intraprendere il percorso che porterà ad una diagnosi. E la prevenzione del cancro langue: la prima arma, e la più efficace per non ammalarsi di tumore, nella Regione Lazio riesce a strappare solo un misero «3» nella pagella dei Lea (i Livelli essenziali di assistenza) su un punteggio complessivo di «15».
CALVARIO DIAGNOSI
Mai nome fu più azzeccato: "paziente" prima ancora di avere una diagnosi. E infatti per la tomografia a emissione di positroni, l’esame di medicina nucleare utilizzato per la diagnosi dei tumori, un terzo dei malati resta fuori dalle lista d’attesa, che arrivano sino a 9 mesi di fila, con le prenotazioni che neanche passano più dal sistema di prenotazione regionale Recup. E così ogni anno 10mila pazienti, per risparmiare tempo prezioso (o i 1.100 euro richiesti per l’esame dalle strutture private non accreditate), optano per il pendolarismo sanitario verso altre Regioni. Viaggi della speranza fino in Lombardia (nel 9% dei casi), Emilia Romagna (6%), Umbria (11%), Molise (27%), in Campania (40%), che ha più del doppio dei macchinari del Lazio: 14 a fronte dei 6, quasi tutti romani (5, oltre a quello installato a Latina).
TAC PET A PASSO DI LUMACA
Riecco le dolenti note: i macchinari ci sono, ma non funzionano a pieno regime. Le 6 Tac-Pet attive nel Lazio arrivano complessivamente a 20mila esami ogni anno, riuscendo a coprire solo i due terzi del fabbisogno regionale. Anche perché al Regina Elena la Tac Pet è riservata ai soli degenti, diversamente da Tor Vergata e Sant’Andrea aperti anche agli esami ambulatoriali, come la struttura pontina e l’Ifo. Ma è un ospedale privato, anche se accreditato come il policlinico Gemelli, ad eseguire il più alto numero di Tac-Pet nel Lazio: 30 al giorno, arrivando a quasi 8mila all’anno. Nel giugno dell’anno scorso la Regione, dopo l’accertamento di un acceleratore lineare fuori uso all’Umberto I (dove altri 2 sono ritenuti ormai inaffidabili), ha annunciato lo stanziamento di 4 milioni e 200 mila euro per rinnovarne almeno uno, prevedendo anche l'acquisto di una Tac-Pet, oltre che per il policlinico, anche per il San Camillo e il San Giovanni.
QUASI UN ANNO PER UNA TAC
Le liste d’attesa peggiorano anche questo mese: 11 mesi per una Tac del capo all’ospedale di Latina. Tempi leggermente ridotti al Pertini (292 giorni) o all’ospedale di Rieti (308) ma per la Tac del massiccio facciale. Mentre anche l’elettrocardiogramma dinamico finisce per diventare "statico" a Formia, con ben 327 giorni di fila. Per due esami non c’è alcuna struttura disponibile nel Lazio in grado di fissare un appuntamento entro i tempi di legge (30 giorni per le visite ambulatoriali, 60 per le prestazioni diagnostiche per immagine). Si tratta dell’ecografia dell’addome superiore (per la quale si raggiunge l’attesa-monstre di oltre 11 mesi al Pertini di Roma: 336 giorni), ma anche dell’eco-doppler dei tronchi sovraortici (per cui si arriva alla vetta di un anno di fila a Frosinone: 363 giorni). E sono 108 gli appuntamenti oltre i 100 giorni, altri 36 che sforano i 200 e 31 che debordano oltre i 300 giorni.
RISONANZA A 10 MESI
Per la risonanza magnetica si può aspettare anche 8 mesi di fila: si va dai 243 giorni dell’ospedale di Rieti ai 297 del Pertini. E per una spirometria si deve allungare il fiato per 6 mesi a Civitavecchia.
Francesca Mariani