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Demenze e anticolinergici. Uno studio conferma il rapporto


Analisi delle immagini del cervello mostrano riduzione volume e spessore aree coinvolte in funzioni cognitive e memoria nei pazienti in terapia con anticolinergici da almeno un mese. Lo studio è stato pubblicato su JAMA Neurology.

I farmaci anticolinergici sono stati a lungo accusati di indurre alterazioni a livello cognitivo e demenza. Ora uno studio, pubblicato suJAMA Neurology, aggiunge nuovi dati a favore di questo collegamento. Per la ricerca, gli autori hanno preso in considerazione le immagini del cervello di 451 adulti, compresi 60 in terapia da almeno un mese con anticolinergici. I pazienti avevano più di 65 anni, con una media di 73, e nessuno aveva avuto una diagnosi di Alzheimer o demenza senile. Le evidenze dello studio Le immagini del cervello dei pazienti che assumevano farmaci anticolinergici mostravano minori livelli di metabolismo del glucosio nell’ippocampo, la regione del cervello associata alla memoria, la stessa che è colpita nelle prima fasi dell’Alzheimer. Inoltre, i pazienti che facevano uso dei medicinali incriminati avevano un ridotto volume cerebrale e un minore spessore in alcune regioni cerebrali legate alle funzioni cognitive. I pazienti che usavano gli anticolinergici, infine, davano risultati peggiori nei test di memoria e funzionali, rispetto alle persone che non erano in terapia con gli stessi farmaci. “I benefici dei farmaci anticolinergici possono far superare il rischio di danni a livello cognitivo”, ha sottolineato la coordinatrice dello studio, Shannon Risacher, dell’Indiana Alzheimer Disease Center di Indianapolis. “Ma se sono disponibili terapie alternative efficaci, i medici dovrebbero evitare di prescrivere gli anticolinergici”, ha aggiunto.

I commenti Lo studio, in realtà, non dimostra che questa classe di farmaci sono la causa delle differenze a livello di cervello e memoria. Inoltre, gli stessi autori riconoscono i limiti della loro ricerca, come il ridotto numero di partecipanti coinvolti o il fatto che lo studio si è basato solo su cosa riportavano i pazienti e non su dati clinici o prescrizioni mediche registrati. Secondo Alain Koyama, ricercatore all’Health Advocate a Los Angeles, questo studio, come altri del genere, sono limitati anche per il fatto che mancano dati sulla dose dei farmaci anticolinergici e sulla durata della terapia. Dunque, “non è ancora chiaro se bassi dosaggi o terapie più brevi riducano il rischio di andare incontro a problemi cognitivi”, ha dichiarato Koyama, che non era coinvolto nello studio. Secondo l’esperto, lo studio aggiunge evidenze all’ipotesi che gli anticolinergici possono provocare problemi a livello cognitivo, per questo anche Koyama è convinto della necessità di discutere coni l medico sulla migliore terapia. “Se un paziente ha un beneficio dalla terapia, e già si sa che non sopravviverà a lungo, ogni danno a livello cognitivo non avrebbe conseguenze – ha spiegato Koyama – Dall’altro lato, per un paziente sano, soprattutto se a rischio di demenza, per esempio in casi di una storia familiare, meglio cercare terapie alternative”. Fonte: JAMA Neurology 2016 Lisa Rapaport

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