Aborto. Consiglio d’Europa boccia l’Italia: “Notevoli difficoltà di accesso. Non rispetta diritto sa
Accolte le tesi della Cgil che aveva presentato un reclamo nel 2013. Rimarcato come i "medici non obiettori sono discriminati" e che "le strutture sanitarie continuano a non adottare le misure necessarie al fine di compensare le carenze nella fornitura di servizi” e ciò può “comportare notevoli rischi per la salute e per il benessere delle donne, il che è in contrasto con la diritto alla tutela della salute, come garantito dall'articolo 11 della Carta sociale europea”. IL DOCUMENTO.
Nonostante la legge 194 in Italia le donne hanno “difficoltà notevoli” nell’accedere ai servizi d'interruzione di gravidanza. E per il Consiglio d’Europa il nostro Paese “viola l’articolo 11 sul diritto alla Salute della Carta sociale europea”. Così si è pronunciato il Comitato dei diritti sociali del Consiglio Ue che oggi ha pubblicato l’esito del reclamo presentato dalla Cgil nel 2013 di cui già il segretario del sindacato Susanna Camusso aveva fornito delle anticipazioni l’8 marzo 2014. Oggi (decorsi 4 mesi dalla notifica), quindi, è stata finalmente pubblicata la decisione sul sito del Consiglio d’Europa. Il Comitato all’unanimità ha dichiarato che l’Italia viola l’articolo 11 sul diritto alla Salute della Carta sociale Europa. Con una maggioranza invece di 6 voti contro 5 il Comitato ha stabilito che c’è una violazione del diritto al lavoro e per 7 voti a 4 che c’è violazione anche del diritto del diritto alla dignità dei lavoratori.
In sostanza viene rilevato che “le carenze che esistono nella fornitura di servizi di aborto in Italia rimangono irrisolte e le donne che cercano l'accesso ai servizi di aborto continuano a dover affrontare notevoli difficoltà a ottenere l'accesso a tali servizi, nonostante le disposizioni legislative in materia”. Inoltre, le “strutture sanitarie continuano a non adottare le misure necessarie al fine di compensare le carenze nella fornitura di servizi a causa di problemi dovuti al personale che decide di invocare il loro diritto all'obiezione di coscienza”. Il Comitato sottolinea poi “che queste situazioni possono comportare notevoli rischi per la salute e per il benessere delle donne, il che è in contrasto con la diritto alla tutela della salute, come garantito dall'articolo 11 della Carta”. Dopo la levata di scudi della Cgil l’8 marzo del 2014 il Ministero della Salute aveva replicato che il “Comitato europeo non aveva tenuto conto dei dati, che gli aborti erano in forte calo e che l’obiezione non era un problema”. Una versione che il Ministero ha riproposto al Comitato lo scorso settembre. Nonostante ciò il Comitato ha evidenziato come il Governo “non ha fornito virtualmente nessuna prova che contraddica quanto sostenuto dal sindacato e non ha dimostrato che la discriminazione non sia diffusa”. Tra le criticità evidenziate anche il fatto che l’Italia discrimina medici e personale medico che non hanno optato per l'obiezione di coscienza in materia di aborto. E ancora che la “diminuzione del numero di ospedali o case di cura dove si praticano gli aborti”. Rimarcato anche come vi è un “rapporto sproporzionato tra le richieste di interrompere la gravidanza e la il numero del personale sanitario a disposizione”. Un fatto che rischia “la creazione di ampie zone geografiche dove i servizi di aborto non sono disponibili, nonostante la diritto legale di accedere a tali servizi di diritto italiano”. Criticati anche “i tempi di attesa eccessivi di accedere ai servizi” dovute anche alla “mancata sostituzione di medici che non sono disponibili a causa di vacanze, malattia, pensione, ecc.” Ma cosa succede ora? Secondo il regolamento del Consiglio d’Europa “in caso di mancato adeguamento dello Stato ad una decisione di non conformità da parte del CEDS, il Comitato dei Ministri può adottare una raccomandazione che chieda espressamente la modifica della legislazione o della prassi vigenti nel Paese”.