Sindrome di Brugada. Studio italiano: morte improvvisa legata ad anomalia rilevabile con Ecg.
Un semplice parametro rilevabile con Ecg potrebbe indicare il rischio di soffrire di morte improvvisa e inspiegabile. Lo ha scoperto uno studio italiano pubblicato dal Journal of the American College of Cardiology.
La presenza di un’onda S pronunciata in prima derivazione di un tracciato elettrocardiografico sarebbe associata a un aumentato rischio di fibrillazione ventricolare e morte cardiaca improvvisa, nei pazienti affetti da sindrome di Brugada. A dimostrarlo sono stati Leonardo Calò, Annamaria Martino e colleghi del Policlinico Casilino di Roma, in uno studio pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology. “Per la prima volta abbiamo dimostrato che l’aumento dell’onda S, che riflette un aumento del volume del ventricolo destro e fibrosi, può essere utilizzato come parametro per predire il rischio di morte improvvisa nei pazienti con sindrome di Brugada”, hanno dichiarato i ricercatori italiani. “La sindrome di Brugada è una patologia di origine genetica associata con un aumento della morte improvvisa inspiegabile – hanno spiegato Calò e Martino –. Per anni la dispersione della ripolarizzazione a livello del ventricolo destro è stata considerata la causa dell’aritmia tipica della sindrome. Il nostro studio, invece, suggerisce che la base patofisiologica della sindrome sarebbe un ritardo di conduzione nel tratto di deflusso del ventricolo destro”.
Lo studio Per valutare se un’onda S più profonda o più larga in prima derivazione potesse aiutare a individuare i pazienti a rischio, Calò, Martino e colleghi hanno analizzato dati provenienti da 347 pazienti con sindrome di Brugada di tipo 1. Secondo i dati raccolti, i pazienti interessati da fibrillazione ventricolare con morte inspiegabile e improvvisa avevano un’ampiezza e una durata medie maggiori delle onde S in prima derivazione. Il dato minimo evidenziato è stato di 0,075 milliVolt di ampiezza, 25 millisecondi di durata e 0,69 millimetri quadrati di ampiezza dell’area della curva. Da questi valori, per avere un dato clinico, i ricercatori hanno estrapolato i dati minimi di differenza dell’onda S: almeno 0,1 milliVolt di ampiezza, almeno 40 millisecondi di durata e almeno un millimetro quadrato dell’area della curva. Secondo Calò e Martino, i valori indicati avrebbero portato a valutazioni negative in almeno il 98,5% del campione, in valutazioni positive nel 19,6 – 23,2% del campione e in un’accuratezza diagnostica del 64,8 – 71,5% per la fibrillazione ventricolare con morte improvvisa e inspiegabile. Nell’analisi multivariata, però, una durata di almeno 40 millisecondi dell’onda S e la fibrillazione atriale sono risultati indipendenti rispetto alla fibrillazione ventricolare con episodi di morte improvvisa e inspiegabile. “Speriamo che studi futuri possano confermare la presenza di aumentata fibrosi nel tratto di efflusso del ventricolo destro (RVOT – Right Ventricular Outflow Tract), nei pazienti con sindrome di Brugada con una onda S in derivazione I pronunciata, evidenziabile con tecniche di imaging o con mappatura elettroanatomica del cuore. – hanno concluso Calò e Martino –Inoltre, potrebbe essere interessante valutare la distribuzione delle onde S pronunciate, tra pazienti con sindrome di Brugada della stessa famiglia, che potrebbero riflettere una specifica mutazione genica coinvolta nella fibrosi del ventricolo destro”. Ramon Brugada, della facoltà di Medicina dell’Università di Girona, in Spagna, fratello di Pedro e Josep Brugada che per primi hanno descritto la sindrome, ha dichiarato che “la presenza di un’onda S pronunciata in derivazione I è indicativa di un alto rischio di morte improvvisa. Tuttavia, dobbiamo essere cauti dal momento che, secondo lo studio, il 30% dei pazienti con sindrome asintomatica potevano presentare la situazione descritta, mentre gli eventi avversi sono stati registrati nel 2,5% dei pazienti per anno, almeno tra quelli considerati”. Dall’altro lato, sempre secondo l’esperto spagnolo, “è importante notare che lo studio elettrofisiologico è stato eseguito solo sul 50% dei pazienti. Questo si è rilevato come un buon esame per predire eventi fatali, da eseguire nei pazienti asintomatici per capire il loro rischio”. Fonte: Journal of the American College of Cardiology