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Scoperto un nuovo bersaglio contro la sindrome di Duncan


Si manifesta quando i bambini con mutazione genetica sono esposti a mononucleosi infettiva fulminante.

UN GRUPPO di ricerca internazionale ha scoperto per la prima volta una possibile strategia terapeutica per una malattia genetica rara nota con il nome di sindrome di Duncan. Questa sindrome, generalmente asintomatica, si manifesta con una mononucleosi infettiva fulminante scatenata dal diffuso virus di Epstein-Barr (EBV), appartenente alla famiglia degli herpes virus. Lo studio reso possibile grazie a un finanziamento della Fondazione Telethon è stato coordinato da Andrea Graziani, professore di biochimica all'Università Vita-Salute San Raffaele e già professore presso l'Università del Piemonte Orientale. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine. La malattia. La sindrome di Duncan o sindrome linfoproliferativa legata al cromosoma X (XLP1) è una malattia di origine genetica diagnosticata ogni anno in meno di 1 su 1.000.000 di bambini o adolescenti. E' generalmente asintomatica e si manifesta solo quando i bambini che hanno la mutazione genetica sono esposti al virus di Epstein-Barr (EBV). Il virus. Questo è un virus molto diffuso: il 95 per cento della popolazione adulta risulta essere positiva e nei paesi sviluppati il 50 per cento dei bambini lo contrae prima dei 5 anni di età. Quando i bambini con sindrome di Duncan entrano in contatto con il virus sviluppano una mononucleosi infettiva grave che provoca una reazione immunitaria a danno di organi quali fegato, milza, midollo osseo e cervello. In alcuni casi la mononucleosi può risultare mortale in altri puo evolvere in tumori a danno delle cellule linfatiche. Il 70 per cento dei bambini con questa patologia se non vengono trattati muoiono entro i 10 anni ma ad oggi l'unica possibilità è il trapianto di midollo che però è efficace solo se effettuato prima dell'esposizione al virus EBV. Lo studio. Ora i ricercatori hanno individuato un nuovo bersaglio molecolare dal nome "DGKa" e hanno dimostrato in modelli animali che attraverso l'inibizione della sua attività è possibile bloccare la malattia. "Il nostro lavoro - ha spiegato Graziani - fornisce per la prima volta la prova che questo enzima può diventare uno strumento terapeutico in grado di promuovere la morte e quindi l'eliminazione dell'eccesso di linfociti attivati che caratterizza la malattia. Obiettivo futuro sarà quello di sviluppare inibitori farmacologici di questo enzima per arrivare a una cura per la malattia".

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