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Un'app traduce il pianto dei neonati


Sfiniti dopo una notte passata in bianco alla disperata ricerca di una ragione per il pianto ininterrotto del vostro bambino? Sappiate che da oggi un'app potrebbe aiutarvi nel difficile compito del neo-genitore. Un gruppo di ricercatori del National Taiwan University Hospital Yunlun ha creato un'app denominata Infant Cries Translator che si prefigge l'obiettivo di tradurre il pianto dei neonati, suggerendo ai genitori cosa fare per eliminare la fonte del malessere.

La risposta dell'app arriva nel giro di 15 secondi, lasso di tempo nel quale il software passa in rassegna un archivio di 200mila suoni emessi da 100 neonati confrontandone la frequenza delle onde sonore e la loro potenza. Stando a quanto dicono i ricercatori di Taiwan, l'app ha un'attendibilità pari al 92 per cento per i bambini fino a un mese di età, dell'85 per cento per quelli sotto i 2 mesi e del 77 per cento per i piccoli oltre i 4 mesi. Dopo i 6 mesi, l'applicazione diventa pressoché inutile perché il tipo di pianto dei bambini comincia a differenziarsi ed è sempre più influenzato dall'ambiente circostante. Intanto, una ricerca condotta dall'Università di Firenze e dall'Ospedale Meyer ha cercato di rispondere all'atavica domanda: meglio lasciar singhiozzare i neonati per educarli fin dalla culla, oppure correre a consolarli col rischio di viziarli? Secondo gli scienziati italiani, piangere troppo sottrae ossigeno al sangue, dunque al cervello, con rischi per l’apparato neurologico, specie in bambini prematuri (cioè nati prima della 37° settimana di gestazione) o di peso inferiore ai 2,5 chili. Traumi che possono poi causare ritardi nei livelli di attenzione e di apprendimento anche in età prescolare e scolare. L’équipe di ingegneria dell'ateneo fiorentino ha messo a punto un sistema di acquisizione sincronizzata di dati provenienti da strumenti diversi, del tutto non invasivi. Uno spettroscopio all’infrarosso (NIRS) per registrare attraverso una fascetta frontale il livello di ossigenazione cerebrale; un microfono opportunamente installato per registrare il pianto; un pulsi-ossimetro per rilevare ossigenazione periferica e battito cardiaco con un sensore applicato su un piede del neonato.

Da sempre acquisiti singolarmente (l’audio, per la verità, è stato raramente preso in considerazione), questi tre dati accorpati e sincronizzati hanno offerto il quadro esatto di ciò che avviene quando un bebé piange a dirotto. “Avviene appunto - spiega la professoressa Claudia Manfredi, coordinatrice dello studio - una conferma della nostra tesi di partenza, ossia che il pianto prolungato può causare una de-ossigenazione del sangue e che il cervello di organismi non ancora pienamente formati come quelli dei neonati prematuri può soffrirne fino a sfociare in seri problemi evolutivi”. Come si rimedia? “Occorre sfatare un mito - aggiunge la Manfredi -. Se molto piccolo, un neonato piange perché è il solo modo che ha per manifestare un problema reale, più o meno grave. Si tratta dunque di capire cosa gli è successo. Le ultime tendenze in campo pediatrico sembrano orientate a consigliare ai genitori di seguire l’istinto naturale, animale se si vuole, di proteggere questi piccolini: abbracciarli, comunicando così amore e protezione, e verificare il da farsi”. Un compito duro per i genitori, che ora potranno però avvalersi dell'ausilio dell'app concepita dai ricercatori asiatici.

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