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La rivoluzione dell'optogenetica vicina ai trial su esseri umani


La rivoluzione dell'optogenetica vicina ai trial su esseri umani

L'optogenetica permette di attivare e disattivare specifici neuroni modificati geneticamente usando solo un impulso di luce. Grazie ai recenti successi ottenuti nei topi di laboratorio, la tecnica potrebbe essere presto sperimentata sugli esseri umani, con l'obiettivo di curare specifiche patologie o di alleviare il dolore cronicodi Stephani Sutherland

neuroscienzegeneticaterapie

Nel corso degli ultimi 10 anni, una tecnica chiamata optogenetica ha trasformato le neuroscienze, consentendo ai ricercatori di attivare e disattivare specifici neuroni in animali da esperimento. Controllando questi interruttori neurali, ha fornito indizi sui percorsi cerebrali coinvolti in malattie come la depressione e il disturbo ossessivo-compulsivo. “L'optogenetica non è un fuoco di paglia”, spiega Robert Gereau, neuroscienziato della Washington University a Saint Louis. "Consente di fare esperimenti impensabili fino a pochi anni fa: è un vero punto di svolta, come poche altre tecniche". Fin dalla pubblicazione dei primi lavori sull'optogenetica, a metà degli anni duemila, alcuni ricercatori hanno immaginato di poterla usare un giorno sui pazienti, per ottenere per esempio un interruttore per “spegnere” la depressione. La tecnica, tuttavia, richiederebbe che un paziente si sottoponga a una serie di procedure mediche altamente invasive: a partire dall'ingegnerizzazione genetica dei neuroni per inserirvi gli interruttori molecolari necessari per attivare o disattivare le cellule, associata all'inserimento di una fibra ottica nel cervello per comandare quegli interruttori.

Un segnale wireless attiva un diodo a emissione di luce (LED) impiantato in prossimità del midollo spinale di una coppia di topi: la luce blu attiva neuroni geneticamente modificati, mentre la luce gialla li spegne. (Credit: Jose Grajales-Reyes, Gereau Lab)

Tra le numerose start-up che ora stanno valutando la possibilità di condurre studi clinici basati sull'optogenetica, vi è la società fondata sulla scia di una serie di recenti progressi dal pioniere dell'optogenetica Karl Deisseroth, insieme ad altri ricercatori della Stanford University, allo scopo di arrivare a una sperimentazione su pazienti entro i prossimi anni. La Circuit Therapeutics, fondata nel 2010, sta portando avanti progetti per trattare in modo specifico le malattie neurologiche, e sta collaborando con aziende farmaceutiche sulla sperimentazione animale con l'obiettivo di scoprire nuovi bersagli farmacologici per le malattie umane. La Circuit vuole iniziare le sperimentazioni cliniche dell'optogenetica nel trattamento del dolore cronico, una terapia che sarebbe meno invasiva rispetto ad applicazioni che richiedono un impianto profondo all'interno del cervello. I neuroni coinvolti nel dolore cronico sono relativamente accessibili, perché risiedono dentro e appena fuori il midollo spinale, un obiettivo più facile da raggiungere del cervello. Anche le terminazioni nervose della pelle possono essere usate come bersagli, ancora più facilmente raggiungibili. “Nel modello animale funziona incredibilmente bene”, sottolinea Scott Delp, neuroscienziato della Stanford University, che collabora con Deisseroth. L'azienda sta anche lavorando per sviluppare terapie per il morbo di Parkinson e per altri disturbi neurologici. L'interesse per l'optogenetica e per le terapie strettamente correlate nei pazienti sta crescendo. La RetroSense Therapeutics, una società con sede in Michigan, ha comunicato l'intenzione di iniziare presto la sperimentazione umana per una condizione genetica che causa cecità. La nuova tecnologia si basa sulle opsine, una classe di proteine che costituiscono un particolare tipo di canale ionico. I neuroni contengono centinaia di diversi tipi di canali ionici, ma le opsine si aprono in risposta alla luce. Alcune opsine sono presenti nella retina umana, ma quelle utilizzate in optogenetica sono derivate da alghe e da altri organismi.

Elaborazione grafica della molecola di rodopsina bovina (Wikimedia Commons)

Le prime opsine usate in optogenetica, chiamate rodopsine di canale, si aprono per consentire agli ioni carichi positivamente di entrare nella cellula quando sono attivate da un lampo di luce blu, innescando l'invio di un impulso elettrico nel neurone. Altre opsine lasciano passare, in risposta alla luce, ioni carichi negativamente che hanno un ruolo inibitorio, rendendo possibile anche il silenziamento dei neuroni. Con l'ingegneria genetica, i ricercatori hanno notevolmente ampliato l'arsenale di opsine disponibili, per esempio producendone alcune che rimangono aperte in risposta a un breve impulso di luce. Prima che le terapie optogenetiche diventino una realtà, la sfida principale è far sì che i geni per le opsine possano essere usati come bersagli nei neuroni umani adulti. Nei roditori, i ricercatori hanno utilizzato due strategie principali: la prima è transgenica, in cui i topi sono allevati per produrre opsine in specifici neuroni, un'opzione inadatta per l'uso nell'uomo. L'altro metodo si serve un virus per inserire un gene in un neurone. I virus attualmente sono già utilizzati per altri tipi di terapia genica negli esseri umani, ma rimangono alcuni inconvenienti. Devono penetrare neuroni maturi e consegnare il loro carico genico senza innescare una reazione immunitaria. Inoltre, il neurone deve esprimere le opsine nel sito giusto e deve produrre la proteina continuamente, in teoria per sempre. Delp e altri hanno ottenuto effetti analgesici nei roditori con un vettore virale, attivando un'opsina per interrompere un circuito in grado di produrre dolore. “Due settimane dopo una singola iniezione nel nervo periferico di virus contenente un gene per un'opsina inibitoria, si osserva una robusta espressione della proteina nei neuroni in tutto il tratto a monte, fino alla pelle”, spiega Delp. “Siamo in grado di sopprimere la sensibilità al calore e alla stimolazione tattile dolorosa, uno dei maggiori problemi nei pazienti con dolore cronico: tutto ciò che dobbiamo fare è illuminare la pelle”. Resta da verificare se la tecnica potrà mai funzionare negli esseri umani. Il secondo ostacolo è fornire luce ai neuroni contenenti opsine per attivare o disattivare il circuito cerebrale desiderato. Negli esseri umani, far arrivare luce al cervello richiederebbe interventi chirurgici importanti di chirurgia, ma silenziare i neuroni che trasmettono il dolore sarebbe molto meno invasivo, per esempio applicando un dispositivo a emissione di luce. Recentemente Gereau, in collaborazione con John Rogers, della University of Illinois a Urbana-Champaign, ha sviluppato dispositivi, applicati ai roditori al termine dei nervi periferici o del midollo spinale, che sono miniaturizzati, completamente impiantabili e alimentati in modalità wireless da energia a radiofrequenza. Ada Poon, della Stanford University, in collaborazione con Delp e Deisseroth, ha recentemente messo a punto un dispositivo impiantabile wireless simile per l'uso nei roditori. Anche se i neuroni esterni al cervello sono più accessibili, sono anche difficili da attivare con la luce, perché, proprio come le persone, gli animali sperimentali sono raramente in quiete, e un dispositivo emettitore di luce rigida potrebbero danneggiare il delicato tessuto nervoso. Ma i nuovi dispositivi di Gereau sono flessibili ed estensibili, e possono così muoversi insieme con gli animali. Il ricercatore è convinto che l'optogenetica per le terapie umane sia ora nelle prime fasi di sviluppo. "Sono certo che l'optogeneticaci ha un potenziale terapeutico", conclude il ricercatore. Nel giro di un decennio, disattivare i neuroni del dolore potrebbe essere come far scattare un interruttore della luce.

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