Al Meyer trovata la causa della sindrome perisilviana congenita
Il team di Neuroscienze dell’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze ha trovato la causa della sindrome perisilviana congenita, una malformazione cerebrale che coinvolge le regioni perisilviane, le circonvolluzioni localizzate intorno al principale solco negli emisferi cerebrali e la scissura di Silvio: una rara malattia che colpisce i bambini e si manifesta con epilessia, deficit cognitivo e disturbi motori.
Come funziona la sindrome
PIK3R2, è il nome del gene responsabile della malformazione cerebrale: nel 1995 lo stesso team aveva descritto la manifestazione clinica della sindrome , ora 22 anni dopo, la scoperta è stata pubblicata su Lancet Neurology, ad opera del gruppo di ricerca diretto e coordinato dal professore Renzo Guerrini che ha collaborato con il Center for Integrative Brain Research del Children’s Research Institute di Seattle. La ricaduta immediata sarà sulla diagnostica: l’identificazione di questo gene come causa della sindrome consente infatti agli specialisti di poter indicare alle famiglie dei pazienti il rischio di ricorrenza della patologia nelle generazioni successive, così da offrire un’adeguata consulenza genetica. Lo studio apre anche prospettive terapeutiche nell’ambito della medicina personalizzata.
Le prospettive future: «PIK3R2 – dice il professor Guerrini - appartiene a una famiglia di geni già correlati a una serie di anomalie dello sviluppo del cervello che sono causa di epilessia e di altre manifestazioni cliniche precoci. Questi geni, se alterati, generano proteine che perdendo la loro funzione consentono un’attivazione eccessiva di processi di proliferazione delle cellule nelle fasi precoci dello sviluppo cerebrale. La conseguenza è che un numero eccessivo di cellule compete per acquisire la propria corretta posizione e funzione nella corteccia cerebrale, dando origine a una corteccia disorganizzata. Su alcuni modelli animali si è notato che farmaci già noti possono inibire questi processi di iperattivazione. Ovviamente una cura ancora non c’è ma si tratta di prospettive interessanti».